Secondo l’osservazione evolutiva è del tutto evidente che se le abilità cognitive possono ragionevolmente essere inquadrabili come prodotti successivi del processo evolutivo, le emozioni fungono, fin dai primi momenti di vita del bambino, da mediatori istantanei tra la percezione sensoriale e la organizzazione di queste sensazioni in schemi ricorrenti organizzati.
Attraverso il vissuto emotivo il bambino impara a prevedere che in certe situazioni simili può mettere in atto comportamenti ai quali gli adulti accudenti reagiranno in modo da allontanare la sensazione di pericolo o di dolore, favorendo così un adattamento il più efficace possibile. Dal punto di vista ontogenetico, inoltre, gli infanti, sebbene sembrino sprovvisti di capacità cognitive di tipo ipotetico deduttive per mezzo delle quali sarebbe possibili prevedere le possibili conseguenze di un atto futuro, sono certamente dotati delle cosiddette ‘qualità primarie emotive’ (basic feelings) e della capacità di manifestarle attraverso schemi motori. Le sensazioni di base tendono ad essere globali, diffuse e difficilmente controllabili mentre le emozioni sono esperienze complesse e organizzate che fungono da processi di controllo interno che si strutturano nella relazione tra sensazioni di base, percezioni e schemi motori.
Le esperienze di reciprocità che instauriamo nei nostri primi momenti di vita determinano, quindi, il peculiare modo di ognuno di noi di strutturare le sensazioni di base in schemi emotivi che definiranno la nostra tonalità emotiva personale e specifica. Mentre la qualità dell’integrazione adolescenziale ne determinerà il livello di astrazione o di concretezza che consentirà la successiva articolazione del significato personale nel ciclo di vita. In questo senso è possibile ipotizzare che in condizioni strutturali simili, quanto più le
relazioni di attaccamento primarie consentiranno al bambino e poi all’adolescente di sentirsi sicuro e di esperirsi come capace, tanto più la sua organizzazione di significato personale sarà articolata e adattiva.
Nella teoria cognitivista post-razionalista le organizzazioni di significato personale possibili sono limitate numericamente ed attualmente quelle accreditate dalla teorizzazioni di Guidano sono quattro: l’organizzazione depressiva (DEP), l’organizzazione fobica (FOB),l’organizzazione tipo disturbi alimentari psicogeni (DAP) e l’organizzazione ossessiva (OSS). Da ciò ne deriva inevitabilmente che le interazioni, soprattutto quelle soggettivamente esperite come importanti, entrano a fare parte del processo di significazione personale attuale, al punto da rendere possibile ‘contaminare’ con la relazione terapeutica la visione del Sé del paziente.
Lo spazio della terapia è dunque quello dell’instaurazione di rapporti di reciprocità emotivamente significativi che siano in grado di aggiungere nuove tonalità del sentire del paziente. Questa perturbazione dovrebbe servire a facilitare un ri-ordinamento dei pattern di coerenza di significato personale, portando il paziente ad ampliare la flessibilità e la variabilità del processo di significazione personale; in definitiva ne discende che è il paziente che cambia sé stesso e non, come accade nelle psicoterapie cognitive classiche, che è il terapeuta l’agente attivo della cura del paziente.
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Breve introduzione al costruttivismo post-razionalista.
di Luigi Sardella
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