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L'inquadramento nosografico dei disturbi psicosomatici

di Nicola Lalli

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Il come ed il perché una emozione o un affetto possono incidere sul soma, fino a procurarne un disturbo funzionale o una lesione, è un problema centrale per la psichiatria. Sicuramente esiste un cortocircuito psico-somatico che nel tempo è stato variamente etichettato: disturbo psicosomatico, evento psicosomatico, disturbo psicogeno, ansia somatizzata, somatizzazione, disturbo funzionale ecc. Questa pletora di etichette se giustifica da una parte la necessità di una ricerca volta a meglio delineare e definire questo concetto non ne giustifica l'eliminazione, come è successo per il DSM-IV e l'ICD-10. Credo opportuno iniziare un discorso critico esponendo le linee guida del DSM-IV in generale, per poi approfondire il problema specifico di quei disturbi ove c'è sicuramente una correlazione tra aspetti psicologici e disturbi somatici. Il DSM III-R (ed il successivo DSM-IV) si pone come strumento diagnostico basato sull'osservazione dei sintomi, escludendo ogni ricerca sulle cause. Di qui due aspetti fondamentali: essere ateorico e categoriale. Quest'ultimo termine introduce, in maniera surretizia una visione discontinua dei disturbi mentali. «Il DSM-IV è una classificazione categoriale che suddivide i disturbi mentali sulla base di set di criteri con caratteristiche descrittive ... Un approccio categoriale alla classificazione funziona meglio quando tutti i componenti di una classe diagnostica sono omogenei, quando vi sono limiti netti tra le classi e quando le diverse classi sono mutualmente esclusive...». Questa dichiarazione molto significativa deve essere sottoposta ad una attenta critica perché nasconde una macroscopica contraddizione. Se da una parte il DSM-IV si pone come ateorico, dall'altra con il concetto di categoriale postula, senza fornire alcuna prova, che ci sia una discontinuità tra le varie forme psicopatologiche, per cui la diversità delle sindromi risulta intrinsecamente qualitativa e non quantitativa. E questa è una affermazione teorica. Sappiamo quanto questo problema sia stato dibattuto: non è un caso che è proprio la nosografia più antica (come quella kraepeliana) che proponeva la discontinuità, mentre la nosografia psicopatologica (E. Bleuler ed altri) o psicoanalitica ha postulato la possibilità di un passaggio da una categoria diagnostica all'altra. Continuità che l'osservazione clinica, ci propone quotidianamente, ma che è ulteriormente rafforzata quando il paziente non è osservato in maniera oggettiva, ma si stabilisce con lui un rapporto.