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L'inquadramento nosografico dei disturbi psicosomatici
di Nicola Lalli
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Ad ulteriore conferma risalta l'assoluta inutilità di questi sistemi diangostici allorché ci si propone un progetto psicoterapeutico: la mera raccolta dei sintomi riduce l'esame del
paziente ad un interrogativo al fine del quale si redige un verbale chiamato diagnosi. Ed a nulla servono i numerosi e spesso sofisticati questionari che indagando specifiche e spesso parcellari funzioni del paziente, lo rendono sempre più anonimo e scisso.
Da tutto questo emerge chiaramente l'inefficienza diagnostica del DSM-IV in generale, ma ancora più nello specifico dei disturbi somatoformi, ove vengono accorpate patologie totalmente diverse per genesi e gravità: come la somatizzazione dell'ansia, l'ipocondria e la dismorfofobia.
Rinunciare ad una diagnosi categoriale non vuol dire ovviamente ritornare semplicemente ad una diagnosi puramente descrittiva: se la prima è riduttiva, la seconda è insufficiente. Bisogna pertanto pensare alla necessità di costruire una nosografia con un criterio multidimensionale ovverosia un sistema operativo che in prima istanza tenga presente i seguenti fattori:
a) una teoria complessiva e completa dello sviluppo psicologico;
b) una concezione della terapia: quindi della possibilità trasformativa della psicopatologia;
c) una metodologia di osservazione che tenga conto dell'assetto dell'osservatore e che in chiave sincronica contestualizzando la domanda: perché è insorta ora la patologia, o comunque perchè ora la domanda di aiuto.
Questi parametri permettono di attivare una diagnosi che potremmo definire di status o trasversale, per passare successivamente ad una indagine più approfondita di quei dati specifici del paziente (biografici) che ci permettano una valutazione in "verticale".