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Plasticità cerebrale e funzioni cognitive

di Antonio Godino tratto da Psychofenia – vol. VI, n. 9, 2003

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Ciò che è banalmente vero per dei fattori fisiopatologici (due fumatori di 70 anni saranno ,mediamente, molto più diversi fra di loro quanto a capacità respiratoria a causa del fumo rispetto a due fumatori di solo 25 anni) lo è altrettanto e probabilmente di più per dei fattori psicopatologici. La somma di eventi stressanti può, col tempo, portare ad una rottura dell'equilibrio funzionale sia sul versante della somatizzazione, sia su quello della perdita della capacità di adattamento. Esiste una relazione precisa fra l'esperienza di cambiamento, lo sforzo adattativo richiesto e la qualità stressante dell'esperienza di cambiamento. Nelle sue pionieristiche ricerche Selye ha ipotizzato che esista per ogni dato individuo una quantità predeterminata ed esauribile di energia di adattamento, il cui esaurimento porterebbe alla malattia ed infine alla morte. Il modello, detto della "sindrome generale di adattamento", è molto ben dimostrato da ricerche di laboratorio su cavie, relative alle modificazioni della risposta immunitaria per stress fisici cronici, ma sembra applicabile, nella sostanza, anche a tutti gli eventi stressanti che hanno rilevanza da un punto di vista psicologico. Questa sindrome prevede tre fasi, la fase della reazione di allarme di fronte allo stress (con una risposta prevalentemente di tipo orto-simpatico e para-simpatico segni visibili di attivazione neurovegetativa), la fase di resistenza (con una silenza dei segni o dei sintomi, pur nel proseguimento cronico della attivazione dell'asse cortico-ipofiso-surrenalico) e quella terminale, cosiddetta di esaurimento. La fase di allarme costituisce la prima ed immediata risposta allo stress, è in parte o del tutto accessibile alla coscienza del soggetto e corrisponde alla attivazione dei meccanismi che saranno adatti a produrre un comportamento di attacco o di fuga (ipertonia muscolare, iperidrosi, tachicardia, arresto della peristalsi intestinale, midriasi pupillare, etc.). Nella fase di resistenza il soggetto "convive" col problema o con la causa di stress, nel senso che il suo organismo continua in effetti a reagire secondo le modalità generali della prima fase di fronte al proseguire della stimolazione ma sia la stimolazione che la risposta sono per così dire "silenti",non sono più evidenti o chiaramente avvertite. La condizione funzionale che ne risulta è di equilibrio. La lunghezza di questa fase dipende da molti fattori (sia intrinseci al soggetto che legati agli stimoli esogeni) e può in casi molto favorevoli procedere per decenni ed estendersi fino alla fase terminale della vita. E' nella terza e decisiva fase, di fronte alla cronicizzazione dell'evento stressante od alla somma concomitante di più eventi, che viene compromessa e persa l'omeostasi funzionale, con il possibile sviluppo di ulcere gastriche, astenia muscolare, cefalea, ipertensione arteriosa, minore resistenza alle infezioni, sviluppo di neoplasie, etc. Dato che la somma di numerosi eventi produce gli stessi effetti disequilibranti derivanti da alcuni pochi eventi gravi, ne risulta che col passare degli anni diventa sempre più probabile statisticamente il giungere ad uno stato di squilibrio omeostatico o di malattia. Tuttavia, anche senza giungere allo sviluppo di una patologia, il tipo di funzionamento tipico di un soggetto anziano è inevitabilmente diverso rispetto a quello tipico di un giovane, proprio a causa di questo cronicizzarsi della risposta di difesa di fronte allo stress. Potremmo dire, in altre parole, che è la vita stessa col suo trascorrere che modifica il modo di funzionare, sia mentale, sia neurofisiologico.