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L’osservazione del bambino in ambito educativo e psicoterapeutico
di Leonardo Angelini
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Diego Napolitani parla in proposito del rischio di interpretare in base a griglie interpretative
preconfezionate che implicano una riduzione dell'alterità dentro le maglie domestiche del già
conosciuto e del già interpretato. E' possibile così definire un "critico secondo tradizione" che
riduce il soggetto osservato ad essere "attore secondo copione" in una falsa dialettica fra due
entità che in effetti da una parte vedono quel che sono stati "in-segnati" a vedere e dall'altra
finiscono con l' agire secondo quanto ci si aspetta da loro. Certo in entrambi i filoni è possibile
individuare varie posizioni. Cosicché nel primo filone, quello oggettivista, è possibile
individuare una gradazione di posizioni che vanno da quelle "sistemiche" della psicologia
dell'Io, allo sperimentalismo scientista di Spitz, alle più feconde posizioni della Malher. Mentre
le ultime "mappe" di Stern sembrano più appartenere ad un sapere diagnostico, di tipo
medicale, che ad un sapere dialogico. E, d'altro conto, è possibile distinguere nell'ambito degli
intuizionisti, dei soggettivisti un ampio spettro di posizioni che vanno dagli epigoni kleiniani che
rischiano ad ogni passo di trasformare le metafore vive della Klein in metafore morte,
all'approccio (inter) - attivo di Winnicott che non distingue fra osservazione e procedimento
terapeutico e tende e continuamente a ridefinire un'area di "gioco condiviso" fra terapeuta e
bambino come unico tentativo di comunicazione fra quelle parti "altre" che sono in noi ed in
lui.
In una cosa non condivido però l'approccio critico di Cramer, che pure ho ampiamente
utilizzato fin qui nel descrivere questi due filoni. Nel tentativo di definire i pregi dell'approccio
malheriano moderatamente oggettivista Cramer infatti elenca un insieme di simboli, a suo dire,
decifrati che emergerebbero dall'approccio malheriano, riferendosi in particolare alla decifrazione
del "melting", dell'irrigidimento, degli inizi della deambulazione, del riavvicinamento.
Ebbene se ciò fosse vero in assoluto se cioè tali gesti, tali posture, tali aspetti del linguaggio
non verbale fossero così univocamente e transculturalmente definiti e decifrati allora sarebbe
ben vero che non esiste altra faccia della luna, che non vale la pena spostarsi, decentrasi,
osare, poiché tutto è già stato detto e interpretato e non vi è più alcun luogo al di fuori di
questo, alcuno spazio se non quello già scandagliato e riprodotto in precise mappe dai
ricercatori che ci hanno preceduto. Ma ciò sappiamo che non è vero poiché, come abbiamo
cercato di dimostrare nel primo paragrafo, alla universalità delle componenti edipiche e
controedipiche corrispondono tante modalità di definire un carattere etnico ed un
corrispondente inconscio etnico quante sono le società e le culture nel loro divenire storico
concreto.
Ciò ci autorizza, cioè, a pensare al gioco fra queste due componenti culturali come ad un
insieme in perpetuo movimento che è prodotto dai concreti soggetti storici che operano sulla
scena sociale (e non come dicono i sistemici dalla sommatoria di vari sottosistemi in equilibrio
dinamico).
In ogni caso vi è nella psicoanalisi un punto di partenza che dovrebbe facilitare questo viaggio
che dal "domi" porta al "foris" o quanto meno rendere meno timorosi i soggetti che si
dispongono a questa odissea: si tratta del percorso analitico. In un loro recente articolo R.
Melandri e Secchi cercano di mettere in rapporto la capacità di insight del paziente e l'atteggiamento
interpretativo dell'analista, come dire dei due soggetti che stanno intraprendendo
il viaggio. Ebbene secondo questi due autori a seconda dell'emergere nel paziente di
configurazioni con un buon insight o meno vi è nell'analista una oscillazione fra interpretazioni
incentrate sul paradigma dell’ascolto o del sospetto.Come affermano Melandri e Secchi, da una
parte la capacità di insight è un buon indicatore della presenza nel paziente di un oggetto
interno osservante, dall' altra la capacità dell'analista di oscillare fra paradigma dell' ascolto e
del sospetto è un altrettanto buon indicatore della presenza nell' analista di una entità
osservante plastica e duttile, prodotto dell' analisi e della formazione permanente.
Ma cosa accade quando il soggetto osservato è un bambino piccolo?
A mio avviso anche, il bambino psicoanalitico col suo "vertice istintuale" può attraversare l'
osservante analista o nelle sue parti più domestiche o nelle sue parti più appartenenti al
"foris". Nel primo caso dovrebbe essere più facile che insorga nell ' analista il paradigma dell'
ascolto, nel secondo quello del sospetto. Ma può anche accadere a mio avviso che il domi sia
trattato come foris e al contrario il foris come domi. L ' esempio dell' identificazione totale col
soggetto è lì a dimostrarci la possibilità che accada la prima di queste due ultime ipotesi da noi
fatte, così come l'interpretazione acculturante che l'analista può fare del materiale proveniente
dai soggetti non appartenenti alla nostra cultura dimostrano la possibilità che accada anche il
secondo tipo di interpretazione. Allora qual è la via d'uscita quando, come accade nel caso del
bambino piccolo, il soggetto osservato non ha possibilità di insight?