mostrano un’idealizzazione difensiva di sé e dell’altro (Cassidy, 1988).
A 10 anni (Grossman, Grossman, 1995), di fronte a domande relative alla
strategia usata nelle situazioni in cui avevano paura, erano arrabbiati o tristi,
tendevano a rispondere che preferivano starsene per conto proprio e a cercare
di risolvere i propri problemi senza contare sull’aiuto di nessuno. La loro
integrazione coi pari era inferiore rispetto a quella dei bambini sicuri.
Potevano riferire di non avere molti amici oppure di averne molti, senza
riuscire ad identificarne uno in particolare. Spesso presentavano problemi di
inserimento nel gruppo dei pari.
Mayseless (1996) riporta i dati di uno studio di Cassidy e Kobak, in cui è
stato rilevato che i bambini con attaccamento A tendono a negare il bisogno
di essere protetti e di ricevere cure e supporto. Quando crescono si mostrano
orientati ad essere emozionalmente autosufficienti, probabilmente per il
tentativo di evitare sentimenti penosi, conseguenti al rifiuto delle proprie
richieste di attaccamento.
Per quel che concerne il senso di auto-efficacia e la stima positiva di sé,
secondo Mayseless (1996), questi bambini tendono a cercare l’approvazione
dei propri genitori attraverso il raggiungimento di quelle mete che vengono
loro proposte. Queste mete sono del tipo: sii un bravo studente, sii un buon
atleta. Da parte del genitore c’è, inoltre, la richiesta implicita di riuscire a
farcela senza chiedere supporto emotivo. Se il bambino riesce a realizzare le
mete proposte sviluppa un senso di auto-efficacia e si sente apprezzato.
L’immagine positiva di sé che si crea, però, è condizionata sia dal
raggiungimento di mete imposte da altri, sia dal dover ignorare i propri
sentimenti di pena e paura. Perciò, per mantenere quest’immagine, mette in
atto un processo difensivo che consiste nell’orientarsi forzosamente verso la
percezione dei propri successi. Ha un forte superego, idealizza se stesso e i
propri genitori, ha un grande bisogno di riuscire, tende al perfezionismo e
lavora strenuamente.
c. L’attaccamento di tipo A nell’ adolescenza: verifiche empiriche
Gli adolescenti con attaccamento di tipo A (Bartholomew, Horowitz,
1995; Kobak et al., 1993; Kobak, Sceery, 1988; Pianta, Egeland, Adam,
1996) tendono a dare delle descrizioni idealizzate di sè e della propria
capacità di gestire le emozioni costruttivamente nelle situazioni
problematiche interpersonali (come dimostrano le dicrepanze tra le loro
autodescrizioni e quanto dichiarato dai loro amici o quanto è osservato nelle
situazioni di problem-solving in un contesto interpersonale). Forniscono
descrizioni delle proprie storie d'attaccamento meno coerenti, integrate e
logiche rispetto alle persone con attaccamento sicuro e portano pochi ricordi a
sostegno delle loro affermazioni circa le esperienze d'attaccamento
(Bartholomew, Horowitz, 1995), negando l'influsso che queste esperienze
hanno avuto sullo sviluppo del Sé, anche tramite ricordi lacunosi o
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Stile d’attaccamento e percorsi di sviluppo
di Alessandra Pace
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