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Il modello evolutivo strutturalista di Vittorio Guidano e Giovanni Liotti

di Alessandra Pace

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Sé è il risultato di questo effetto-specchio ed è perciò definibile come un “looking-glass self ”. Il Sé si rispecchia, durante l’infanzia, nelle figure primarie d’attaccamento. Lo “specchio”, all’inizio, non è integro. Esso è rappresentato da frammenti costituiti dagli aspetti della personalità dei genitori, dalla qualità della relazione affettiva con essi e dalle caratteristiche socio-culturali della famiglia. E’ il bambino che, per il suo bisogno di regolarità, organizza questi frammenti in un mosaico. L’interazione, perciò, è una condizione indispensabile per lo sviluppo della conoscenza di sé, ma anche l’attività del bambino nel selezionare il contenuto di questa conoscenza è importante. In questa fase il bambino scopre la permanenza di sé e degli oggetti. La permanenza di sé è la base per un rudimentale riconoscimento di sé. Parallelamente a questo riconoscimento c’è l’esperienza di quelle sensazioni che divengono la tonalità affettiva di base. La loro qualità dipende dal tipo di risposta dell’agente di cura (caregiver) alle richieste del bambino. Le condizioni che, secondo Bowlby (1972, 413), sono fondamentali affinché il bambino abbia una tonalità affettiva di base positiva, coincidono con l’esperienza di un attaccamento sicuro. Questo tipo di attaccamento è favorito da comportamenti genitoriali quali il contatto fisico col bambino, la sensibilità verso i suoi segnali, la risposta tempestiva ad essi, una regolazione dell’ambiente tale da rendere il piccolo capace di trarre il senso della consequenzialità delle proprie azioni, il piacere reciproco provato nell’interazione. Il bambino (1975, 260), costruendo un “mondo interno” composto da modelli operativi connotati da una coloritura affettiva positiva, si aspetta di trovare, anche nelle interazioni future, figure d’attaccamento disponibili. Inoltre, percepisce se stesso accettato, degno di essere aiutato e protetto. Perciò, sostengono Guidano e Liotti (1983, 27), le informazioni ricavate dalle esperienze di attaccamento non rappresentano solo un dato sensoriale da immagazzinare, ma coordinano e orientano la percezione di sé sino al punto in cui il bambino è in grado di percepirsi in modo consono all’immagine di sé che gli è stata fornita. Queste prime esperienze di attaccamento, a causa dello scarso sviluppo cognitivo, sono rappresentate dal bambino in forma analogica. Gli schemi emozionali che derivano dalle esperienze di attaccamento e dai primi tentativi di distacco, diventano il nucleo metafisico della conoscenza e sono le basi per la costruzione di altre regole con le quali il bambino coordinerà i pensieri, le emozioni e le azioni. A causa del realismo infantile e della presunta costanza dell’ambiente affettivo del bambino, questa esperienza è l’ “unica possibile”: non esistono altri Sé, non esistono altre realtà.