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Psicoterapia Cognitiva Sistemica, Psicosi e Servizio Pubblico

di Gianni Cutulo

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Come si traduce questo se al posto di un terapista c e un sistema come il Servizio? E come lavorare in una situazione così "disorganizzata" quale quella psicotica, che induce facilmente collusioni emotive, risposte a corto circuito di tipo medico-biologico o burocratico-assistenziali ? All'interno di una relazione "affettivamente" significativa con uno o più operatori del Servizio, si può creare quella situazione che ho chiamato, riprendendo la metafora di Bowlby, base sicura concreta e parziale, in cui da una parte è presente un concreto supporto materiale ed emotiv6 e dall'altra viene posta attenzione a che i legami affettivi che si instaurano con la persona non diventino totalmente sostitutivi a quelli disturbati o carenti del suo contesto di vita. Il lavoro sulla consapevolezza e le perturbazioni del rapporto vengono effettuati in maniera diversa rispetto alle modalità, alle sedi, ai tempi propri del "setting" psicoterapeutico. Utilizzando, ad esempio, maggiormente i canali "non verbali" e strategie relazionali a vari livelli di contesto (individuale, familiare, sociale) che siano leggibili dal paziente, e dai suoi familiari, in termini comunicativi "impliciti".
3) Una terza via di ricerca riguarda, in senso più generale, la funzione che può assumere un Servizio che, nel suo compito "sociale" di prendersi cura del disturbo psichico, lo consideri in questa fluidità di percorso tra normalità, nevrosi, psicosi. L'abbandono del principio razionalista di corrispondenza tra ordine interno (dell'individuo) ed ordine esterno (della società) porta ad una critica della funzione del Servizio come puro rappresentante della normalità sociale, e di conseguenza del suo prevalente compito normativo e pedagogico. Spostare l'attenzione sull'auto-referenzialità del soggetto potrebbe limitare per quanto possibile, quegli aspetti di controllo, assistenza e rieducazione, che finiscono spesso per precludere al Servizio una funzione terapeutica. Ricercando modalità di intervento “soft”, tali cioè da favorire la comprensione della discrepanza che è avvenuta nel ciclo di vita, rispetto all'intervento “hard” istituzionale, che spesso contribuisce a irrigidire lo scompenso su livelli di patologia conclamata e/o cronicizzata.