Home
- Articoli sul Costruttivismo
Psicoterapia cognitiva sistemico-processuale e ciclo di vita individuale
di Vittorio Guidano
si ringrazia il dott. G. Cutolo per la concessione del materiale
pag. 21 di 28
Questa enfasi può legittimamente far venire il sospetto che la consapevolezza sia un pò venuta per sostituire la razionalità dei cognitivisti tradizionali: cioè, mentre prima la razionalità era tutto, qui l'essere consapevoli è frainteso come una cosa buona in sè. Come dire che se siamo in una situazione in cui non è possibile una verità definita e non c'è un ordine esterno univoco, perlomeno "l'essere consapevoli" è un modo giusto di comportarsi, un modo a cui attenersi. Ecco, su questo io richiamo l'attenzione, già vi ho detto prima che la consapevolezza non corrisponde a una conoscenza o un'immagine oggettiva di noi. La consapevolezza è un modo di “mettersi a posto i pezzi", come si dice a Roma, un modo di manipolare i dati, un modo di agire forme di autoinganno che mantengono una autostima accettabile di noi.
Infatti si può dire che in questa ottica qui un terapista non dovrebbe procedere con l'induzione di consapevolezza ad oltranza, come se il paziente dovesse essere consapevole di ogni cosa, di ogni settore, in ogni arco di vita, come se la consapevolezza fosse un bene in sè. Di fatto, da quanto vediamo accadere negli stessi pazienti, il prodursi di nuovi elementi di consapevolezza è sempre connesso all'emergere di nuove aree problematiche spesso molto grosse, non solo a livello conoscitivo. Perché generalmente l'emergenza di nuovi livelli di consapevolezza e di conoscenza comporta l'emergere di nuovi livelli di ignoranza e di nuovi problemi: perché non c'è mai una conoscenza ultima e definitiva; un altro tipo di conoscenza significa andare ad un altro livello di realtà in cui vi sono altri problemi e altre ignoranze.
L'aspetto sicuramente più perturbante è a livello emotivo, cioè ogni aumento di consapevolezza è sempre contrassegnato dall'emergere di emozioni perturbanti e fortemente destabilizzanti come il senso di ambiguità, il senso di assurdità esistenziale, il senso di noia, tutte emozioni che purtroppo non sono scritte nei libri di testo di psicologia classica, ma che fanno parte proprio dell'esperienza umana contemporanea e che sono inevitabilmente connesse con l'aumento di consapevolezza.
Anche quando un paziente sia arrivato, facendo un ottimo lavoro, a livelli di cambiamento considerevoli, a ricostruire tutta la sua storia di sviluppo, è invariabile che poi abbia una flessione depressiva connessa a questo senso di ambiguità, di assurdità. Se prima della terapia il problema era che lui non si conosceva, alla fine della terapia è che ora si conosce, e che non gli piace per niente essere questa persona qua e che avrebbe voluto essere un'altra.
Un terapista dovrebbe procedere in maniera molto cauta; un buon terapista, in questo senso, dovrebbe indurre il massimo di riorganizzazione di significato per lo scompenso specifico, con il minimo di consapevolezza necessario per fare questo. La consapevolezza dovrebbe dunque essere usata come un raggio laser, cioè proprio dove è necessario, senza mai estenderla oltre, e questo necessita una nuova coscienza del terapista, che è quella di astenersi dall'intervenire su tutti i settori di vita, anche se il paziente manifesta opinioni di vita non condivise da lui. E' difficile però, perché i terapisti sono sempre abituati ad avere una posizione di osservatori privilegiati, detentori di verità, con un certo grado di onnipotenza che ha sempre permesso loro di intervenire come volevano in tutti i settori di vita del paziente, anche non di rilievo rispetto al problema su cui si stava lavorando.