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Psicoterapia cognitiva sistemico-processuale e ciclo di vita individuale
di Vittorio Guidano
si ringrazia il dott. G. Cutolo per la concessione del materiale
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Questo è un punto estremamente importante anche perché le conseguenze negative dell'aumento indiscriminato della consapevolezza si vedono purtroppo nei terapisti stessi. Da un pò di anni, grazie al fatto che il terapista non è più visto come l'osservatore privilegiato, come al di fuori delle parti, ma come un essere umano che fa un lavoro specifico, si sono moltiplicati studi su che effetto fa ad una persona "fare il terapista", come tutti gli studi sulle malattie professionali. Il discorso è: per uno che fa il terapista otto ore al giorno per trenta anni della sua vita, fare questo lavoro a che lo espone? Che effetto ha? Che gli produce? Qui viene fuori la contro-prova di quello che dicevo prima, che la consapevolezza è da trattarsi con le molle: è quanto può indurre ad un cambiamento, ma deve essere usata il minimo possibile per indurlo e poi basta, perché consapevolezza significa perdita di immediatezza, significa sempre più staccarsi dall'esperienza immediata.
I terapisti sono una categoria a rischio, hanno un rischio molto alto di reazioni depressive, suicidi, reazioni psicotiche, alcolismo e tossicomania. Oltre a ciò, il problema principale riportato è che nell'aumento indiscriminato di consapevolezza cui il terapista va incontro per il semplice fatto che svolge il suo lavoro, per il semplice fatto di entrare in connessione con migliaia di vite umane, per doverle ricostruire, un terapista viene ad avere, senza neanche volerlo, un incremento progressivo di conoscenza del mondo, dell'esperienza umana, di gran lunga superiore a quella di un uomo della sua stessa età, classe sociale e via di seguito.
Ma c'è di più: è un tipo di consapevolezza particolare, strana, perché è una consapevolezza "vicaria", è una consapevolezza desunta, ricostruita e scoperta attraverso l'esperienza degli altri. Perché c'è anche questo poi di singolare: che il terapista professionista che lavora otto ore al giorno è una persona che passa la vita chiuso in una stanza, e mentre sta chiuso in una stanza, ha un'esperienza di vita vicaria, attraverso le vite delle tante persone che ricostruisce; è una consapevolezza che non è controbilanciata da una vita veramente vissuta, da altrettanta esperienza: pensate a un terapista sessuale o di coppia, che ha un'esperienza della sessualità umana non controbilanciata da quello che poi lui ha vissuto; è quindi un tipo di consapevolezza che ha tinte fortemente ambigue, disturbanti, tant'è che i "burn out" fra i terapisti sono molto alti, molto elevati.
Oggi si comincia a porre in maniera drammatica il problema di chi individua i terapisti "scassati" (i burn out), e chi sono i terapisti in grado di curare gli altri terapisti; questo sarà il problema che dovremmo affrontare nei prossimi anni. Da quanto incomincia ad emergere, pare che i terapisti sono un pò nella posizione dei radiologi del primo novecento che lavoravano e non succedeva niente; poi quando sono incominciate a cadere le dita, pezzi di orecchio, a venire le leucemie, si sono messi la placchetta e hanno incominciato ad affrontare il problema. E' quello che, non so come, accadrà da noi, ci vorrà un po’, ma credo che anche i terapisti avranno la placchetta, cioè non potranno andare oltre un certo "bit" di consapevolezza. Vi ringrazio per l'attenzione. (applausi)