Home - Articoli sul Costruttivismo

Psicoterapia cognitiva sistemico-processuale e ciclo di vita individuale

di Vittorio Guidano
si ringrazia il dott. G. Cutolo per la concessione del materiale

pag. 23 di 28
DIBATTITO

Cutolo: Io mentre ascoltavo Vittorio, anche se lo conosco e lo sento da molti anni, non riuscivo ad uscire da una sensazione proprio di immediatezza, come diceva lui, e passare ad una situazione di riflessività e di consapevolezza, quindi mi sono lasciato andare a questa piacevole emozione che mi dava il fatto di ascoltare il suo discorso. Per cui non sono in questo momento in grado di fare dei commenti riflessivi; anche poi in base alle ultime cose che Vittorio ha detto, forse è una strategia giusta questa di non “consapevolizzarsi” troppo. Comunque, siccome mi rendo conto che l'argomento si apre a notevoli riflessioni, io invito chi ha dei quesiti a proporli.
Domanda: Volevo chiedere questo: c'è una relazione tra l'abbandono del comportamento sintomatico del paziente e una fase specifica del lavoro psicoterapeutico?
Guidano: Si, in genere, per quanto riguarda l'aspetto sintomatico, si può dire che c'è una remissione sintomatologica del 50,60% quando si è finita la prima fase, quella della ricostruzione del repertorio di vita attuale. Generalmente, la remissione totale del problema sintomatologico si ha con la fine della seconda fase, cioè con la ricostruzione dello stile affettivo. C'è da dire che la maggior parte dei pazienti finisce la terapia a questo punto; dopo la ricostruzione dello stile di vita affettivo, quando sono chiare proprio le modalità di formazione, mantenimento e rottura nei loro rapporti affettivi, Molto spesso il problema sintomatico è stato scatenato da uno sbilanciamento affettivo nella fase di vita in corso: a quel punto, più del 50 % dei pazienti interrompe la terapia e mantiene un contatto con il terapista unicamente come supervisione. Non credo che il terapista dovrebbe insistere per fare ad oltranza una storia di sviluppo, anzi, a quel punto lì, visto che il paziente ha ricostruito ampiamente tutte quante le sue categorie basiche dell'affettività, il paziente sa perfettamente quello che si dovrebbe fare; ricostruendo lo stile affettivo, esse sono uscite fuori mille volte in episodi a cavallo con l'adolescenza, direttamente ricollegabili anche a situazioni familiari, al rapporto con la madre e con il padre. Quindi il paziente ha tutti quanti i dati per dire: "O.K.,procediamo perché vorrei vedere come si è messa insieme tutta questa organizzazione che appare evidente dal punto di vista affettivo".Se ciò non avviene, è bene per un terapista, generalmente, non insistere: perché il paziente ha tutti quanti i dati per formulare lui una richiesta e andare avanti, e poi perché una storia di sviluppo è un impegno emotivo molto grosso, come dicevo prima, che non va fatto contro la volontà del paziente, richiede anzi la sua collaborazione. Volendola fare ad oltranza, il terapista darebbe al paziente la sensazione che esiste soltanto un modo di fare le cose, mentre il paziente è l'unico arbitro di sè. Il resto del lavoro che gli rimane da fare come riordinamento di sè può anche farlo al di fuori dello studio terapeutico: attraverso le sue esperienze di vita, da solo, come uomo. Generalmente è così, quando diventano completamente asintomatici dopo lo stile affettivo, è una minoranza che continua nella storia di sviluppo. Domanda: Vittorio, volevo chiedere questo: collegandoci a questo discorso della consapevolezza, che era quello di cui ci eravamo anche occupati nel lavoro di supervisione svolto col Servizio Psichiatrico in questi due anni, rispetto al "dove arrivare" con dei pazienti che hanno una sintomatologia molto grave e dei supporti di vita molto carenti. E in questo la tua risposta è stata esemplare rispetto al discorso di un "optimum", a cui arrivare. Rispetto alla professione del terapista, vorrei sottolineare come questa si possa considerare una professione che si può accomunare a quella di un certo tipo di scrittori, i cui personaggi vivono esperienze particolari fino ad arrivare a situazioni di rischio. Mi sembra che un libro emblematico, a questo proposito, sia "Memorie del sottosuolo" di Dostoevskij, dove il livello di consapevolezza del protagonista procede nel corso del libro, fino a che è per lui impossibile agire qualsiasi autoinganno e questo lo porta ad una completa distruzione dell'immagine di sè e quindi alla disperazione totale. Questo mi sembra un percorso da evitare rispetto ai pazienti… Guidano: Certo…