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Psicoterapia cognitiva sistemico-processuale e ciclo di vita individuale

di Vittorio Guidano
si ringrazia il dott. G. Cutolo per la concessione del materiale

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Guidano: E' difficile dirlo, perché non è soltanto la consapevolezza il problema. Ci sono tanti fattori che vengono ricostruiti nella vita dei terapisti come fattori "perturbanti". La depressione, la tossicomania, l'alcolismo, sono alcuni di questi, ma c'e n'è anche un altro, che tanti terapisti sottolineano, ed è la solitudine. Il lavoro terapeutico si svolge in solitudine fisica, dentro una stanza in cui tutte le comunicazioni sono sconnesse dalla realtà in quel momento; c'è un senso di essere fuori dal mondo. Alcuni terapisti dicono "io a volte proprio ho l'angoscia che se succede qualche cosa fuori, scoppia una guerra io lo saprò con una ora dopo". Il terapista diventa uno che è costretto a gestire sempre una situazione emotiva unilaterale, nel senso che per funzionare ci deve essere il coinvolgimento del paziente ma anche il suo, in quello che sta facendo. Però tutte quante le emozioni che gli suscita il suo coinvolgimento le deve tenere per sè, mentre deve favorire l'espressione di quelle del paziente. Questo da ulteriormente un senso di solitudine emotiva, oltre che fisica. Poi il terapista deve essere uno che si deve addestrare a distaccarsi dai pazienti, perché i pazienti sono persone significative anche per lui. Stando chiuso per ore dentro una stanza, i pazienti sono le uniche persone che vede e con cui fa scoperte, che sono emotivamente scoperte importanti anche per lui. Egli deve fin dagli inizi impostare una relazione per distaccarsi e per distaccarsi bene non deve mai attaccarsi neanche lui, deve essere un "esperto di distacco". Tutti questi fattori qui insieme alla consapevolezza, portano poi al rischio".